Farmaci equivalenti e branded sono continua fonte di discussione e domande; non solo i pazienti hanno spesso qualche remora nell’assumere un farmaco generico, ma gli stessi operatori sanitari spesso preferiscono affidarsi agli originali in particolare qualora vi siano determinate patologie. Perché? Quali sono le cause di tanta diffidenza nei confronti dei farmaci equivalenti? C’è effettivamente motivo di preoccuparsi?
È bene sempre fare una premessa: ogni farmaco immesso sul mercato viene sottoposto ad innumerevoli controlli e studi preclinici e clinici, più ulteriori accertamenti post immissione in commercio che ne avallano la sicurezza.

Come vengono immessi sul mercato i farmaci equivalenti?
Qualità, sicurezza, efficacia sono i prerequisiti fondamentali affinché qualunque medicinale possa ottenere una AIC (Autorizzazione all’ Immissione in Commercio). Infatti, le aziende farmaceutiche devono presentare un dossier di registrazione che si compone di tre parti relative a sicurezza, qualità ed efficacia valutate da esperti del CTS (Commissione Tecnico Scientifica Nazionale), dal CHMP (Commissione per l’uso umano di prodotti medicinali) e dall’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali). Le stesse aziende sono inoltre sottoposte a ispezioni delle officine di produzione dei principi attivi e del medicinale finito per valutarne la conformità alle GMP (Good Manufacturing Practice). (Direttiva 2003/94/CE della Commissione dell’8 ottobre 2003, recepita in Italia col Decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219).
Definizione di farmaco equivalente

Nel 2001 il medicinale generico entra nello scenario regolatorio europeo con la direttiva 2001/83/CE recepita in Italia dal decreto Legislativo 219 del 2006 che all’art 10 comma 5 lettera b che definisce farmaco generico “un medicinale che ha la stessa composizione quali/quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento definita da studi appropriati di biodisponibilità”. (Decreto legislativo 219/06 del 24 aprile 2006. Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE (GU n.142 del 21.6.2006 – Suppl. Ordinario n. 153): Art. 10, c. 5; punto b)
Si ricorda che il titolare deve dimostrare la stabilità, la bioequivalenza e che il prodotto in esame abbia un contenuto di impurezze confrontabile con quello di riferimento in modo da evitare di richiedere ulteriori studi di sicurezza. Inoltre, deve descrivere la chimica, il processo di produzione/controllo qualità secondo tutte le linee guida europee e assicurare che il packaging non interagisca con il prodotto.
Ma cosa significa esattamente bioequivalenza? Per definizione due medicinali sono bioequivalenti quando, con la stessa dose, i loro profili di concentrazione nel sangue rispetto al tempo sono così simili che è improbabile che essi possano produrre differenze rilevanti negli effetti di efficacia e sicurezza. (European Medicines Agency (EMA). Guideline on the investigation of bioequivalence (CPMP/QWP/1401/98 Rev.1/Corr). London, 20 January 2010)
Inoltre, la normativa prevede che ci possano essere eccipienti diversi, in quanto quest’ultimi sono identificati come sostanze inerti senza alcuna proprietà terapeutica ma con il solo scopo di facilitare la somministrazione e la biodisponibilità del principio attivo. Per quanto riguarda gli eccipienti differenti bisogna stare attenti in caso di allergie o di particolari patologie come il diabete (se presente il glucosio), la celiachia (qualora vi sia amido di grano) o la fenilchetonuria (se vi è aspartame).
Si ricorda che i farmaci equivalenti sono sottoposti agli stessi controlli post marketing a cui sono soggetti i medicinali originali. Spesso si può considerare un medicinale equivalente anche più sicuro, perché prima della sua vendita può usufruire dei dati relativi agli anni di commercializzazione e sorveglianza post marketing del brand permettendo di valutarne meglio il rapporto rischio/beneficio e l’efficacia in termini di farmacocinetica e conseguentemente di una migliore aderenza terapeutica.
Un medicinale equivalente ha la stessa quantità di principio attivo rispetto al medicinale di marca?
Si parla spesso di tolleranza del 20%, ma non ci si riferisce né al contenuto del principio attivo e né alla sua concentrazione nel plasma (biodisponibilità), bensì si fa cenno ad un concetto statistico in cui vengono messi a confronto la concentrazione plasmatica massima (Cmax), il tempo alla quale essa viene raggiunta (Tmax) e l’area sotto la curva (AUC) che rappresenta l’andamento della concentrazione plasmatica nel tempo. Si considera quindi che la media tra i rapporti di questi valori e le dispersioni intorno rientrino in una probabilità del 90% con range di accettabilità del +/- 20%.
Pertanto, tutti i farmaci (equivalenti e non) sono autorizzati solo ed esclusivamente se la quantità del principio attivo è compresa tra il 95%-105% del quantitativo nominale indicato in etichetta.
Si sottolinea che questo intervallo è comune a livello internazionale, tiene conto di variabili di biodisponibilità dovute alla differenza tra i soggetti ma anche alla possibilità di somministrazioni dello stesso farmaco nella medesima persona ma in momenti diversi.
Costo?
I farmaci equivalenti rappresentano uno strumento e una garanzia in tutto il mondo per ridurre il carico economico che grava sia sul singolo individuo che sull’intero sistema sanitario, in modo tale da mettere a disposizione maggiori risorse economiche da investire in medicinali biologici, biotecnologici.
I farmaci equivalenti collocati in fascia A, quindi dispensabili in regime SSN sul territorio italiano, hanno un prezzo di vendita inferiore di almeno il 20% rispetto agli originali, considerando i costi minori in termini di ricerca e sviluppo e che non sono più coperti da brevetto. Questo li rende molto competitivi sul mercato anche se di contro spesso vengono percepiti in un’ottica di “risparmio” sotto innumerevoli punti di vista: economico, di qualità, sicurezza, efficacia.
Nonostante la regolamentazione italiana e le autorità siano favorevoli all’impiego di farmaci equivalenti, il loro uso sul territorio cresce lentamente rispetto ad altri Paesi rimanendo sotto la media europea. Secondo il rapporto annuale di Assogenerici nel canale farmacia si conferma un arretramento per generici, mentre il mercato degli originali a brevetto scaduto continua ad assorbire il 52,24% del totale a volume. Le aree terapeutiche in cui si registra una maggiore diffusione degli equivalenti sono quelle relative a:
- inibitori di pompa protonica;
- biguanidi semplici (ipoglicemizzanti);
- beta-bloccanti;
- statine;
- ace-inibitori.
Mentre per quanto riguarda la classe C, ossia a totale carico del cittadino, la molecola che registra maggior incidenza è il Lorazepam (tranquillante).
Ma quali sono le cause attribuibili al sottoutilizzo dei medicinali generici?

Sicuramente derivano da diversi fattori. Spesso dal punto di vista del paziente vi è una cattiva informazione, dubbi, pregiudizi e una mancata analisi dei dati a supporto, ma capita vi sia anche un’inadeguata influenza da parte degli operatori sanitari (medici e farmacisti), il che sicuramente impatta molto sulla decisione finale del paziente.
Attraverso uno studio (GIHTAD giornale italiano di health technology assessment & delivery: “Medicinali equivalenti in Italia”) le ragioni della diffidenza di medici e farmacisti che ha indagato le abitudini cliniche degli operatori sanitari e il perché delle scelte e della riluttanza nel prescrivere generici è emerso che ben il 43,5% degli intervistati è reticente all’impiego dei similari per svariati motivi tra cui:
- si ritiene che i medicinali equivalenti abbiano minor efficacia clinica degli originali, soprattutto per alcune classi terapeutiche (farmaci antiepilettici, anticoagulanti, antiaritmici…);
- si pensa che la diversa composizione degli eccipienti possa avere un impatto sull’efficacia della terapia, alterando la farmacocinetica, la biodisponibilità e la tollerabilità portando a potenziali allergie o interazioni farmacologiche;
- la diffidenza aumenta in caso di pazienti più fragili, tra cui quelli a rischio cardiovascolare, oncologici, psichiatrici, diabetici, in gravidanza e anziani;
- reticenza nei confronti di aziende di medicinali equivalenti, non considerate tutte affidabili;
- mancanza di tempo e difficoltà nell’istruire il paziente/cliente;
- mantenimento della cura e minor propensione per lo switching per un discorso di continuità e aderenza terapeutica per preservare l’efficacia della terapia.
Facciamo il punto…
Le motivazioni sopra elencate sono sicuramente degli ottimi spunti di argomentazione e possono essere giusti o sbagliati a seconda della chiave di lettura e delle situazioni, è chiaro che sia medici che farmacisti agiscono giustamente con cautela nei confronti del cambio incontrollato dei farmaci, avendo così una certa propensione nel promuovere una scelta terapeutica lineare, dato che uno switching continuo dei medicinali induce spesso il paziente, soprattutto anziano, ad errori di posologia o addirittura di riconoscimento del prodotto a causa di diverso packaging, colore, palatabilità e forma della pillola.

È opportuno focalizzare l’attenzione anche sulla questione “mancanza di tempo e complessità dell’argomento”. Infatti, la carenza di tempo, attenzione e comunicazione nei confronti del paziente, l’incapacità di fornire le giuste informazioni, porta spesso ad accontentare il cliente senza dare alcuna spiegazione chiara e scientifica. Ciò evidenzia sicuramente come man mano sta cambiando il rapporto del medico e del farmacista con i pazienti. Questo rappresenta un campanello d’allarme? La medicina si sta realmente evolvendo sotto tutti i punti di vista focalizzandosi sempre e comunque sul rapporto umano e sul paziente o quest’ultimo risulta essere marginale rispetto agli interessi e doveri quotidiani di tali professioni?
Vagliando anche un’altra prospettiva, si può affermare che vi è sicuramente un certo scetticismo nei confronti degli stabilimenti dispersi nelle varie parti del mondo, negli anni passati è capitato che alcuni siti siano stati chiusi perché non conformi alle leggi; a proposito di ciò vi lasciamo con un video provocatorio di Ted Talk riguardo ad un’indagine svolta sulla produzione di medicinali equivalenti in siti produttivi internazionali di alcune multinazionali farmaceutiche, questo video invita a riflettere e vuole fornire un’ulteriore visione sull’argomento, ma dopo quanto è stato scritto nei paragrafi precedenti sicuramente vi sono più strumenti per evitare di saltare subito a conclusioni, magari sbagliate.
Come comportarsi?
Nell’ottica di una maggiore trasparenza sarebbe opportuno invitare le autorità a diminuire il range di variabilità per i criteri di bioequivalenza e obbligare le aziende produttrici a pubblicare i dati di farmacocinetica del loro prodotto rispetto a quello di riferimento.
Oltretutto è necessario insistere sulla corretta diffusione di informazioni con un approccio trasversale e ampio perché questa diffidenza nei confronti dei generici potrebbe rendere la rete assistenziale poco efficiente in caso di carenze dei medicinali nei canali distributivi portando così ad una brusca interruzione di terapie in atto.