Piante next-generation
Le biotecnologie ci vengono in aiuto anche per la salvaguardia dell’ambiente. Grazie all’aiuto della tecnologia CRISPR-Cas9, un gruppo di scienziati dell’università di Berkeley e dell’IGI (Innovative Genomics Institute) sta realizzando in laboratorio alcune varietà di piante in grado di immagazzinare più efficientemente il carbonio e, di conseguenza, ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera.
I ricercatori dell’IGI hanno utilizzato piante di riso come organismo modello. “Se avremo successo con il riso, realizzeremo omologhi anche per altre varietà di piante“, commenta Bradley Ringeisen, direttore esecutivo dell’IGI.
Il programma sta esplorando come l’editing genomico CRISPR-Cas9 possa essere utilizzato per aiutare l’agricoltura a adattarsi ai cambiamenti climatici e migliorare il sequestro del carbonio dall’atmosfera.
Lo studio comprende tre fasi, ognuna delle quali si focalizza su una diversa fase del viaggio del carbonio dall’atmosfera al suolo:
- il sequestro del carbonio atmosferico;
- il flusso del carbonio verso le radici delle piante
- la ritenzione del carbonio nel suolo.
Il primo passo consiste nel modificare il processo della fotosintesi con lo scopo di aumentare la resa delle colture e la biomassa. Il carbonio sequestratodall’atmosfera deve fluire nella biomassa sottoterra, cioè nelle radici, e dirigersi verso il suolo.
Gli scienziati si stanno concentrando su come migliorare la profondità delle radici, poiché, più in profondità si dirige il carbonio nel terreno, maggiore è la probabilità che permanga nel suolo.
L’ultimo passo consiste nel catturare il carbonio in uscita dalle radici. Questo al fine di studiare al meglio il meccanismo del flusso del carbonio attraverso le radici nel suolo.

Nanoparticelle come terapie per il cancro
Uno dei problemi principali del sistema tradizionale di somministrazione dei farmaci consiste nel fatto che i principi attivi, spesso, non sono in grado di raggiungere efficacemente il bersaglio. Ciò accade perché i farmaci non riescono a permeare attraverso i capillari.
Un possibile metodo per ovviare il problema consiste nell’utilizzo dei liposomi. I liposomi sono strutture vescicolari chiuse le cui dimensioni possono variare dai 20-25 nm fino ai 2,5 μm. La loro struttura è molto simile a quella delle membrane cellulari e si caratterizza per la presenza di uno o più doppi strati lipidici che delimitano un core idrofilo in cui si trova materiale in fase acquosa.
Alcune sostanze possono essere “incapsulate” all’interno dei liposomi, che hanno l’affascinante vantaggio di proteggere i farmaci dalla degradazione, promuovere un’azione mirata e ridurre la tossicità sistemica. Tuttavia, diversi inconvenienti, tra cui la limitata efficienza di incapsulamento, la rapida perdita di farmaci idrosolubili in presenza di componenti del sangue e la scarsa stabilità di conservazione, hanno spinto gli scienziati a cercare un’alternativa nel campo delle biotecnologie.
A tal proposito possono essere utilizzate le nanoparticelle, ovvero particelle solide con dimensioni comprese tra 1 e 100 nm, che possono essere utilizzate come matrice per favorire il trasporto delle molecole terapeutiche tramite meccanismi di dissoluzione, intrappolamento o attaccamento.
Le nanoparticelle hanno una capacità di penetrazione superiore a quella di altri agenti terapeutici utilizzati nella terapia tradizionale anticancro. In uno studio recente sono state formulate nanoparticelle utilizzando il polisaccaride chitosano caricate con la molecola isolongifolene, composto noto per avere proprietà neuroprotettive.
Il chitosano è un polimero formato dalla parziale deacetilazione della chitina, componente del guscio di crostacei e insetti. A pH neutro, il chitosano è insolubile, mentre è solubile e carico positivamente a pH acido. È stato dimostrato che il chitosano ha effetti antimicrobici, antimicotici e di guarigione delle ferite e, soprattutto, non è tossico.
Le nanoparticelle sono risultate compatibili con il plasma sanguigno e hanno mostrato un modello di rilascio costante. Pertanto, le nanoparticelle caricate con chitosano potrebbero essere impiegate come eccellente coadiuvante nella terapia anticancro, ad esempio per combattere la resistenza multifarmaco nei tumori solidi.

Biotecnologie e nuovi studi per la malattia di Alzheimer
Nella malattia di Alzheimer diversi processi neuronali, tra cui la l’infiammazione neuronale e lo stress ossidativo, risultano deregolati. Pertanto, sono in corso svariati studi per capire come favorire la neuroprotezione cerebrale.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Barcellona ha valutato l’effetto del composto UB-ALT-EV, un antagonista del recettore del glutammato NMDA.
Ma come funzionano questi recettori? I recettori N-metil-D-aspartato (NMDA) sono canali che permettono il passaggio di ioni calcio e sono implicati in alcune patologie neurodegenerative, tra cui la malattia di Alzheimer. Nella patologia di Alzheimer, elevati livelli di glutammato possono essere rilasciati dalle cellule cerebrali. Ciò porta ad un massiccio afflusso di ioni calcio, mediato dai recettori NMDA, che promuove la morte cellulare, lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione.
In seguito al trattamento nei topi è stato riscontrato che la molecola UB-ALT-EV è in grado di incrementare l’espressione genica di alcuni fattori che promuovono il trofismo cerebrale. UB-ALT-EV è stato in grado di ridurre l’espressione genica di Trem2, una proteina che gioca un ruolo chiave nell’infiammazione cerebrale e di alcune citochine pro-infiammatorie. Questi risultati rivelano quindi, complessivamente, un effetto robusto sui processi di neuroinfiammazione e riduzione dello stress ossidativo neuronale dopo il trattamento con UB-ALT-EV, rendendo la molecola un potenziale candidato per il trattamento della malattia di Alzheimer.

Cellule staminali e sclerosi multipla
Un recentissimo studio italiano ha rivelato che le cellule staminali iniettate nel liquido spinale di persone affette da sclerosi multipla si sono dimostrate promettenti come trattamento per la malattia.
Nelle persone affette da questa patologia, il sistema immunitario danneggia le cellule nervose e i loro rivestimenti protettivi nel cervello e nel midollo spinale. Ciò causa perdita della vista, affaticamento e paralisi.
Grazie agli enormi progressi fatti dalle biotecnologie in questo settore, i ricercatori hanno raccolto cellule staminali dal cervello di un feto abortito e le hanno iniettate nel liquido spinale di 12 persone affette da una forma di sclerosi multipla a peggioramento progressivo.
Nei due anni successivi, nessuno dei partecipanti allo studio ha manifestato reazioni avverse. Tre mesi dopo il trapianto, le persone che avevano ricevuto una dose maggiore di cellule staminali mostravano livelli più elevati di molecole protettive dei neuroni e antinfiammatorie nel loro fluido spinale rispetto a coloro che avevano ricevuto una dose minore. Dopo due anni, i soggetti del gruppo ad alta dose presentavano più materia grigia cerebrale rispetto a quelli del gruppo a bassa dose.
